mercoledì 15 aprile 2009

Il Vaticano II più tradizionalista di Pio XII?

Non sono solo gli storici della "Scuola di Bologna" o i teologi che fanno capo alla rivista Concilium a considerare il Vaticano II come una "svolta" nella storia della Chiesa. Ci sono molti tradizionalisti che pensano esattamente la stessa cosa: fino al Concilio tutto, nella Chiesa, andava bene; poi, a un certo punto, quel matterello di Giovanni XXIII, non si capisce bene perché, decise di convocare il Concilio; e quello fu l'inizio della rovina della Chiesa. Ci sono addirittura alcuni (i cosiddetti "sedevacantisti"), per i quali Pio XII è stato l'ultimo Papa della Chiesa cattolica; dalla sua morte (50 anni fa!) la Sede di Pietro sarebbe vacante.

È più che evidente l'assoluta mancanza di senso storico. Come dicevo nel mio articolo Concilio e "spirito del Concilio" (30 gennaio 2009), il Vaticano II non può essere considerato come un fungo spuntato durante la notte; esso è il risultato di una lunga preparazione: era da decenni che qualcosa bolliva in pentola; prima o poi sarebbe venuto fuori. Forse alcuni non se ne rendevano conto. Una volta lessi fra gli atti del Concilio la lettera che aveva inviato il Superiore generale dei Barnabiti dell'epoca nell'ambito della consultazione in preparazione al Concilio: secondo lui, che pure veniva dal Belgio, si trattava di sistemare solo qualche dettaglio. Personalmente sono convinto che lo stesso Giovanni XXIII non si rendesse completamente conto di quel che significava convocare un Concilio: pensava di sbrigarsela in pochi giorni, come aveva fatto col Sinodo Romano (annunciato lo stesso giorno nella basilica di San Paolo fuori le mura). Chi invece si rendeva perfettamente conto dei rischi della convocazione di un Concilio era stato Pio XII, il quale, appunto, non ebbe il coraggio di farlo.

Non è stato il Concilio a far ammalare la Chiesa; la Chiesa era già "ammalata": il Concilio ha solo permesso alla "malattia" di manifestarsi. Personalmente ritengo che abbia anche fatto un grosso sforzo per risanare la Chiesa; ma il malato ha preferito non seguire la terapia indicata dal medico. Non so però se tale metafora della malattia e del medico sia la più appropriata. L'ho usata per farmi capire dai tradizionalisti, che pensano che la Chiesa prima del Concilio fosse sana e che invece ora sia malata. La realtà è un tantino più complessa: quel che "bolliva in pentola" già prima del Concilio non può essere semplicemente considerato una sorta di "malattia"; semmai si tratta di un "malessere", di un "disagio", che non può essere semplicemente ricondotto all'opera del demonio, che vuole distruggere la Chiesa; ma piuttosto una "inquietudine" eccitata dallo Spirito nell'animo dei cristiani, perché la Chiesa potesse riallacciare il dialogo col mondo, oggetto della sua missione salvifica.

Nel succitato articolo ricordavo tutta una serie di movimenti (liturgico, biblico, ecumenico, ecc.) già esistenti nella Chiesa prima del Concilio: i Papi non solo incoraggiarono tali movimenti, ma vi diedero un notevole contributo. Il Vaticano II fu, per questi movimenti, una specie di riconoscimento ufficiale: la Chiesa li faceva propri, dando alcune coordinate di riferimento. È ovvio che, come in tutte le cose umane, in mezzo al grano c'era anche tanta zizzania. Non sempre è facile distinguere tra l'uno e l'altra. Proprio per questo c'era bisogno di un discernimento comune (= il concilio). Talvolta lo stesso Pontefice non fu in grado, da solo, di distinguere tra erba ed erbacce. Un esempio?

All'interno del rinnovamento degli studi biblici, negli anni Quaranta Pio XII commissionò ai professori del Pontificio Istituto Biblico una nuova traduzione del salterio, che tenesse conto del progresso degli studi biblici. Ne venne fuori, nel 1945, il Liber Psalmorum cum canticis, che, dopo essere stato personalmente usato dal Papa per un anno, fu adottato come testo ufficiale per l'Ufficio divino. Si trattava di un'ottima traduzione in latino classico del testo ebraico integrato e corretto in base ad altre fonti. Se conoscete il latino e provate a leggerlo, sembra di leggere, in un bel latino, le moderne traduzioni in lingua volgare. Ebbene, che cosa successe al Concilio? I Padri stabilirono: "L'opera di revisione del salterio, felicemente incominciata, venga condotta a termine al più presto, tenendo presente il latino usato dai cristiani (respectu habito latinitatis christianae), l'uso che ne fa la liturgia e le esigenze del canto, come pure tutta la tradizione della Chiesa latina" (Sacrosanctum Concilium, n. 91). In poche parole, ciò significava: torniamo alla Volgata, emendata laddove è assolutamente necessario farlo. Di qui Paolo VI ebbe l'ispirazione di adottare lo stesso criterio per tutta la Bibbia. E fu così che, pochi giorni prima della fine del Concilio, costituì una commissione incaricata di rivedere la Volgata. Il frutto di tale revisione è la Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio (comunemente detta "Neovolgata"), pubblicata nel 1979 (un anno dopo la morte di Paolo VI) e, in seconda edizione, nel 1986.

Personalmente considero la Neovolgata un piccolo capolavoro: senza stravolgere l'opera di san Girolamo, tiene conto dei risultati delle scienze bibliche odierne. Ovviamente, ci sono dei punti su cui si può discutere (p. es., non capisco perché abbiano sostituito, in Romani 5:12, "in quo" con "eo quod"; o, in Filippesi 2:13, "pro bona voluntate" con "pro suo beneplacito"); ma, nell'insieme, mi sembra un lavoro davvero ben fatto.

Come vedete, Pio XII, il Papa tanto amato dai tradizionalisti, fu lui stesso vittima della mentalità (un po' razionalista) diffusa; il Vaticano II, il concilio tanto amato dai progressisti, si mostrò in tal caso più tradizionalista del Papa. Questo tanto per dire come la realtà sia talvolta un tantino più complessa di quanto certe schematizzazioni non vogliano far credere.