martedì 12 maggio 2009

Il Papa in Terra Santa

Chi mi segue regolarmente conosce la mia posizione sul viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa. A piú riprese ho rilevato l'inopportunità e la pericolosità di tale visita in questo momento, ma allo stesso tempo ho dovuto riconoscere la sua "inevitabilità". Come detto nei giorni scorsi, da parte nostra non possiamo fare altro che pregare, innanzi tutto per l'incolumità del Santo Padre (in particolare, vi invito a intensificare le preghiere domani, festa della Madonna di Fatima) e poi perché sia possibile uno di quei miracoli, che solo il Signore può fare, di trasformare cioè ciò che sembrava "inopportuno" in una "opportunità", per il trionfo della verità, per il ristabilimento della giustizia e per la restaurazione della pace.

Se posso esprimere un sommesso parere su come sta andando questo viaggio, direi che per il momento non ci si possa proprio lamentare. Dopo il grande successo in Giordania (e non poteva essere altrimenti: la convivenza tra cristiani e musulmani, checché ci vogliano far credere, è molto piú facile che non con gli ebrei), ho l'impressione che anche in Israele, Benedetto XVI se la stia cavando egregiamente.

Dopo aver pagato l'inevitabile pedaggio ("sei milioni di ebrei vittime della Shoah"; "l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo"), il Papa — come giustamente ci ha fatto notare Sandro Magister su www.chiesa — ha affrontato i temi sensibili (pace e sicurezza; Olocausto e antisemistismo) in maniera del tutto originale (come è suo solito), facendo diretto riferimento alla Scrittura. Non so se i suoi ascoltatori abbiano capito l'antifona. Certo, non possono in alcun modo attaccarlo su questo piano; devono limitarsi a deplorare che non abbia criticato il nazismo...

Si è molto preoccupati per l'intervento fuori programma dello sceicco Taysir Al-Tamimi durante l'incontro interreligioso al Centro Notre Dame di Gerusalemme. Personalmente ritengo che sia il minimo che potesse accadere. Come si può pretendere che non vengano fuori certe questioni in una realtà esplosiva come la Terra Santa? Tanto per cambiare, non sono affatto d'accordo con la dichiarazione di Padre Lombardi, che ha definito l'intervento una "negazione del dialogo". Chiedo: che cosa significa "dialogo"? Se dialogo significa dire solo ciò che l'altro si aspetta di sentire, lo trovo del tutto superfluo. Il bello del dialogo sta proprio nel fatto che ci costringe ad ascoltare ciò che è diverso da quel che noi pensiamo. Se poi qualcuno si alza e se ne va, vuol dire che non ha la coscienza cosí tranquilla...

Quel che invece mi lascia un tantino perplesso è l'aspetto piú "politico" degli interventi papali. Al suo arrivo in Israele, Bendetto XVI ha auspicato che "ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti"; mentre per i luoghi santi ha espresso l'augurio "che tutti i pellegrini ... abbiano la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni". In tal modo la Santa Sede fa definitivamente sua la soluzione al conflitto israelo-palestinese prospettata dalla "Road Map" e, per l'accesso ai luoghi santi, ripete le stesse esatte parole usate dal governo israeliano. Personalmente trovo la cosa piuttosto discutibile. Riconosco il tradizionale realismo della diplomazia pontificia, ma ricordo che la Santa Sede fino a qualche anno fa aveva, a proposito di Gerusalemme, una proposta originale e molto interessante: l'internazionalizzazione della Città Santa. Dove è finita tale proposta? Personalmente la considero estremamente attuale. Se per gli israeliani Gerusalemme è "capitale eterna" del loro Stato e se per i palestinesi — lo abbiamo sentito dallo sceicco Al-Tamimi — essa è "capitale eterna" della Palestina, l'unica soluzione realistica è, appunto, la cosiddetta "vaticanizzazione" della città vecchia. Se mi fa piacere che una proposta del genere sia ora rilanciata da un ebreo (Abraham B. Yehoshua ieri su La Stampa), mi dispiace che la Santa Sede l'abbia accantonata.

Quanto poi alla soluzione dei due Stati, a parte le perplessità che tale soluzione sia possibile, ritengo che sarebbe piú prudente rimanere nel vago. Chi ha detto che la creazione di due Stati "etnici" sia la migliore soluzione? Non si potrebbe legittimamente pensare a un solo Stato laico, multietnico, aconfessionale, dove ci sia spazio per tutti, ebrei, cristiani e musulmani? Un sogno? Per chi crede, talvolta anche i sogni possono diventare realtà.