mercoledì 11 novembre 2009

E gli anglicani del "terzo mondo"?

David, come al solito, fa alcune considerazioni molto interessanti sulle possibili conseguenze della Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus:


«Quando nel 1993 un incendio distrusse parte del castello di Windsor, negli stessi giorni in cui la Chiesa anglicana nominava le prime “pastore” (ci hai fatto caso? certi liberal che si riempiono la bocca di neologismi cacofonici come “ministra” e “sindaca”, la parola “sacerdotessa” non va a genio e preferiscono parlare di donne prete o donne pastore... buffo il mondo!): con arguzia, il buon vecchio Il Sabato, il mai abbastanza rimpianto settimanale di CL, titolava: “Anglicani in fiamme”. Evidentemente, ci sono voluti tre lustri perché l’incendio divampasse in tutta la comunione anglicana e riducesse in polvere questa bizzarra “chiesa” i cui dogmi sono decisi dal Parlamento di Londra e che, forse piú di tutte le altre chiese “riformate”, si è inginocchiata davanti al mondo e alle sue mode.

Condivido in pieno la tua analisi: la Roma papista si è dimostrata materna e flessibile, là dove la liberale Canterbury era stata dura di cuore e ottusa.

Ora, però, converrà spostare lo sguardo dal centro amministrativo dell’anglicanesimo (una denominazione cattolica fra le piú “burocratiche”) alle sue membra (alcune piuttosto vivaci), sparse per i cinque continenti, dato che a torto fino a oggi l’attenzione si è concentrata solo sui circa cinquecentomila anglicani cattolici che risiedono in Inghilterra, in Australia e negli States.

Parliamo intanto di cifre: i fedeli anglicani nel mondo (compresi quelli americani, della “filiale” episcopaliana) sono circa 77 milioni, con 450 diocesi. Di questi, la maggior parte non risiede nel Regno Unito (17-18 milioni) ma in Nigeria (18 milioni). L’India ha il doppio di battezzati anglicani rispetto al Canada (4 vs 2 milioni). Allo stesso modo, Kenia e Sud Africa insieme hanno quattro volte piú fedeli della Chiesa Episcopaliana americana (8 vs 2 milioni). In Tanzania e Uganda l’anglicanesimo conta ben 11 milioni di membri, circa cinque volte piú numerosi che in tutto il Nord America.

È inutile dire che le chiese “di colore” sono tanto conservatrici e attaccate alla tradizione quanto quelle “bianche” sono liberal e modaiole. La stampa ha riportato storie interessanti su questo “incendio” che, come dicevo, ha frantumato l’anglicanesimo. Nel dicembre 2008 sette parrocchie in Virginia, contrarie alla nomina del gay Robinson, abbandonarono gli episcopaliani per seguire... la Chiesa anglicana della Nigeria, i cui leader affermano con orgoglio: “In Nigeria obbediamo alla Scrittura, sia conveniente o meno. Non è negoziabile”. Quando Williams avallò la legge inglese sui gay, i nigeriani abrogarono dallo statuto della loro comunità la frase “in comunione con Canterbury”, commentando:Se vogliono creare una nuova religione, good luck”.

C’è da chiedersi come reagiranno costoro ai grandi segni di vitalità e alla mano tesa in spirito di fraterna liberalità dal papa. Francamente, parlare di mezzo milione di fedeli in procinto di accettare il catechismo romano non ha molto senso: se la Madonna ci darà una mano (e mi permetto di dire, parafrasando Padre Pio, che — per come la conosco io — di certo lo farà), forse avremo almeno dieci milioni di africani anglicani a bussare alle porte di Roma nel giro di pochi anni, o addirittura di mesi.

Canterbury appare impotente, cosí come la maggior parte degli Evangelicals, in questo periodo di trasformazioni: si fa sentire un fenomeno poco studiato, ma degno di attenzione. Fra le conseguenze della recente crisi economica, c’è anche il disseccarsi del fiume di denaro che dal Nord America rimpinguava le casse di sette e comunità protestanti in giro per il mondo: chi, come la Chiesa cattolica, ha investito nell’Amore che guarisce e nella Verità che libera invece che in progetti faraonici e illusioni, probabilmente sa reagire meglio ai cambiamenti. Caro padre, non era anglicano quel Charles Darwin che teorizzò la sopravvivenza in natura del piú forte? Ecco, lo sbriciolamento proprio dell’anglicanesimo e la crescita lenta ma costante della Chiesa non è una conferma paradossale delle sue teorie? Il piú forte è la Chiesa Cattolica, l’anglicanesimo è condannato forse a estinguersi o a sopravvivere solo in poche nicchie protette».


Che ne sarà degli anglicani del “terzo mondo”? Domanda interessante, alla quale però, almeno per il momento, è difficile dare una risposta. Mentre si sentí parlare a lungo di loro in occasione dell’ordinazione episcopale di Robinson, con comunità episcopaliane che passarono alle Chiese anglicane del Sud America o dell’Africa, per quanto ne so, non si è ancora sentito parlare di loro in queste ultime vicende connesse con la disponibilità della Chiesa cattolica ad accogliere gruppi di anglicani in maniera “corporativa”.

Io non darei per scontata la loro accettazione dell’offerta papale; ma neppure mi sentirei di escluderla a priori. Il fatto di essere anglicani “tradizionalisti”, di per sé, non significa nulla: non significa essere piú vicini alla Chiesa cattolica. Anzi, un vero anglicano tradizionalista dovrebbe essere, a rigor di termini, anti-papista, essendo questo uno degli elementi caratteristici della tradizione anglicana. L’apertura verso Roma è segno di un’evoluzione, di una maturazione, di cui dobbiamo essere grati al movimento ecumenico (inteso in senso positivo). Ora, sinceramente, non so dire quale sia l’atteggiamento di queste Chiese anglicane dell’emisfero sud nei confronti della Chiesa cattolica. Spero che David abbia ragione; ma, per il momento, è meglio essere prudenti e non lasciarsi prendere da eccessivi entusiasmi, che alla lunga potrebbero essere delusi. Stiamo a guardare, con fiducia e preghiera, ma anche con un certo distacco e un sano realismo.

Oltre tutto, si tratta anche di una questione di rispetto verso questi nostri fratelli; cerchiamo di comprendere il loro dramma: per quanto il Papa si sia mostrato accogliente e generoso, non credo sia facile per uno che è vissuto finora in una determinata Chiesa, dire da un giorno all’altro: Cambio denominazione. Mi sembrano assai significative, in proposito, le dichiarazioni del Vescovo Broadhurst, Presidente di “Forward in Faith”: «Non risponderò alla domanda: “Cosa farete?”. È una cosa su cui dobbiamo lavorare insieme». Mi sembra il minimo che possa dire una persona seria.

Concordo con David sulla fiducia da avere nella Madonna: non c’è dubbio che, se lei ci mettere una “buona parola”, tutto sarà piú facile.