giovedì 17 maggio 2018

Bilancio di un quinquennio e prospettive future


L’articolo che segue è apparso, in francese, sull’ultimo numero della rivista Catholica (n. 139, Primavera 2018, pp. 39-48), diretta da Bernard Dumont (www.catholica.fr). Riportiamo qui il testo originale italiano (scritto nel mese di marzo).
Q



Il 13 marzo 2018 ricorre il quinto anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio. È forse giunto il momento di fare un bilancio del quinquennio trascorso e tentare di prevedere, in base all’attuale situazione, i possibili scenari futuri.


I. BILANCIO DEL QUINQUENNIO TRASCORSO

L’attuale pontificato si è aperto nel segno della rottura col passato: la scelta del nome “Francesco” (finora mai usato dai Papi, ma ampiamente vagheggiato in alcuni settori della Chiesa), il rifiuto delle insegne pontificali, l’uso pressoché esclusivo del titolo di “Vescovo di Roma”… tutto faceva presagire che si sarebbe trattato di un pontificato diverso dai precedenti. Si ebbe l’impressione che i Cardinali, scossi dall’inedita fine del pontificato di Benedetto XVI e desiderosi di rilanciare l’immagine della Chiesa gravemente compromessa dagli scandali, con la scelta di Bergoglio volessero dare il segnale che qualcosa stava cambiando.

La riforma della Curia

Nella mente dei Porporati c’era sicuramente l’esigenza di una riforma della Curia Romana; e probabilmente fu dato al neo-eletto un mandato in tal senso. Tant’è vero che, a un mese dall’elezione, Papa Francesco «riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle Congregazioni Generali precedenti il Conclave, ha costituito un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana» (1). 

Il nuovo “Consiglio dei Cardinali” (in un primo momento “C8”, successivamente “C9”) si è riunito decine di volte in questi cinque anni. Con quali risultati? Secondo il coordinatore del gruppo, il Card. Óscar Rodríguez Maradiaga, la riforma doveva essere pronta nel 2015. Siamo nel 2018, ma di cambiamenti se ne sono visti ben pochi. Si sono moltiplicati gli organismi economici — anche se, alla fine, tutto sembrerebbe rimasto come prima (2) — e sono stati costituiti alcuni mega-dicasteri (per la comunicazione; per i laici, la famiglia e la vita; per il servizio dello sviluppo umano integrale). Beh, non esattamente ciò che ci si aspettava… 

Come spiegare il flop? Innanzi tutto, tenendo conto della convinzione di Bergoglio che le riforme strutturali non vadano messe al primo posto. Nell’intervista rilasciata a Padre Antonio Spadaro all’inizio del pontificato, aveva dichiarato: «Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie … La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento» (3). A tale scarso convincimento va aggiunta una inidoneità caratteriale, da lui stesso riconosciuta. In un incontro con la Presidenza della CLAR, il 6 giugno 2013, Papa Francesco avrebbe serenamente ammesso: «La riforma della Curia è qualcosa che è stata chiesta da quasi tutti i cardinali nelle congregazioni prima del Conclave. Anch’io l’ho chiesta. La riforma non la posso fare io, è questione di gestione… Io sono molto disorganizzato, non sono mai stato bravo in questo. Ma la porteranno avanti i cardinali della commissione» (4). A quanto pare, il Papa faceva affidamento soprattutto sui suoi collaboratori. È lecito però avanzare qualche dubbio anche sulla competenza di questi ultimi, privi com’erano non solo di qualsiasi esperienza di Curia, ma si direbbe anche del piú elementare buon senso (si pensi, per esempio, alla stravagante proposta del Card. Maradiaga di fondere i tre tribunali vaticani, Penitenzieria, Rota e Segnatura).

La “riforma” della Chiesa

Visto lo scarso impegno e i deludenti risultati della riforma della Curia, sorge il sospetto che il principale obiettivo del partito che aveva avanzato la candidatura di Bergoglio fosse piuttosto l’attuazione di una vecchia agenda, che non aveva trovato piena accoglienza nel Concilio e nel post-concilio, soprattutto su alcuni punti: decentramento e maggiori poteri alle conferenze episcopali, celibato sacerdotale, diaconato (e sacerdozio?) femminile, contraccezione, ecc. (5). Vanno in questa direzione molte delle decisioni prese durante l’attuale pontificato: costituzione apostolica Magnum principium per il decentramento in ambito liturgico; convocazione di un sinodo speciale per l’Amazzonia, nel quale verrà posta la questione dell’ordinazione sacerdotale di viri probati; costituzione di una commissione per lo studio dell’eventuale conferimento del diaconato alle donne; gruppo di studio sull’enciclica Humanae vitae. Particolarmente significativa appare, in questo contesto, la procedura anomala e artificiosa che è stata seguita per la revisione della disciplina matrimoniale: Concistoro straordinario (febbraio 2014), assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2014), emanazione di due motu proprio sulle cause di nullità matrimoniale (agosto 2015), assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2015), esortazione apostolica Amoris laetitia (marzo 2016). 

Il “cambio di paradigma”

I suddetti interventi sono stati in genere presentati come espressione della “conversione pastorale” auspicata da Papa Francesco nell’esortazione apostolica programmatica Evangelii gaudium (6). Di per sé, una semplice “conversione pastorale” non dovrebbe intaccare la dottrina (e, in tal senso, non sono mancate le piú ampie rassicurazioni), ma soltanto preoccuparsi di avvicinare le persone. Il Card. Walter Kasper ha però parlato, a piú riprese, di un vero e proprio “cambio di paradigma” (7): «Un cambiamento di paradigma non modifica la dottrina precedente; la inserisce però in un contesto piú ampio. Cosí Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto. Il cambio di paradigma consiste in questo, che Amoris laetitia segna il passaggio da una “morale della legge” alla “morale della virtú” di Tommaso d’Aquino». Il Card. Kasper sembrerebbe cosí delimitare la portata del “cambio di paradigma”; in realtà, come facevo notare in altra sede (8), si tratta di una vera e propria “rivoluzione”: «Mentre finora, per orientare il comportamento dei fedeli, la Chiesa si limitava a presentare una dottrina astratta (la legge morale), e poi ciascuno doveva arrangiarsi con la propria coscienza per applicare le norme morali generali alla situazione concreta in cui si trovava a vivere; ora la Chiesa è invitata a non lasciare piú gli uomini soli nel fare le loro scelte, ma ad accogliere, accompagnare, discernere e integrare … mentre prima era la dottrina a guidare la vita morale, ora questo compito viene affidato al discernimento … A nulla serve dichiarare che la dottrina non viene modificata, quando essa non serve piú a dirigere la nostra vita. Il cambio di paradigma la rende del tutto irrilevante» (9). 

Lo sviluppo dottrinale

Giunti a un certo punto però, ci si è accorti che non è possibile continuare a ripetere che la dottrina non cambia, ma sono gli atteggiamenti che devono cambiare. Non è possibile separare teoria e prassi: nella Chiesa la pastorale è sempre stata espressione della dottrina: tra le due esiste una corrispondenza biunivoca; se cambia una, inevitabilmente finisce per cambiare anche l’altra. Ecco il motivo per cui da qualche tempo si è iniziato a parlare apertamente di una “rilettura” della dottrina tradizionale alla luce delle piú recenti acquisizioni. A dire il vero, Papa Francesco vi aveva già fatto cenno nella sua intervista alla Civiltà Cattolica. Prendendo le mosse dalla famosa affermazione di Vincenzo di Lerins sullo sviluppo del dogma (10), il Pontefice chiosava: «San Vincenzo di Lerins fa il paragone fra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e cosí anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitú era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità … Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina come un monolite da difendere senza sfumature è errata» (11).

Ma è stato soprattutto a partire dal discorso pronunciato in occasione del XXV anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (12) che si è notata una maggiore insistenza sulla necessità di attualizzare la dottrina. Noi abbiamo parlato, per l’occasione, di una vera e propria “svolta” nel pontificato (13). Nel suo discorso il Papa, prendendo spunto dalla costituzione apostolica Fidei depositum con cui era stato approvato il Catechismo, affermava: «Non è sufficiente … trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce». Non si tratta dunque solo di una questione di linguaggio (come aveva affermato Giovanni XXIII aprendo il Concilio Vaticano II), ma di una esplicitazione di contenuti racchiusi nel Vangelo e non ancora pienamente emersi. Nel suo discorso il Papa riprendeva l’esempio della pena di morte, già utilizzato nell’intervista alla Civiltà Cattolica, per dimostrare che ci può essere un’evoluzione della dottrina, di cui si deve tener conto anche in una eventuale — e, a quanto pare, auspicata — revisione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Come dicevamo nel nostro commento, il riferimento alla pena di morte ci sembra abbastanza pretestuoso e potrebbe nascondere il proposito di voler aggiornare il Catechismo su altri punti piú controversi (contraccezione, omosessualità, ecc.).

Reazioni alle riforme

Contrariamente al pontificato di Benedetto XVI, il pontificato di Papa Francesco ha sempre goduto, fin dai suoi inizi, del favore dei mezzi di comunicazione. A parte l’atteggiamento dei media che, positivo o negativo che sia, risulta in ogni caso relativo, ci sono ovviamente molti nella Chiesa, tanto fra i pastori quanto tra i fedeli, che sostengono, con maggiore o minore convinzione, le riforme di Papa Francesco. Ma non mancano le opposizioni.

In Curia, a quanto pare, sono diffusi molti malumori. Ma questi sembrerebbero provocati, piú che da motivi di carattere dottrinale o dall’andamento della riforma interna, dallo stile di governo, piuttosto spregiudicato, del Pontefice.

La “resistenza”

Piú aperte appaiono le contestazioni all’operato del Papa nel resto della Chiesa. Queste, oltre che essere causate dallo stile di Bergoglio, derivano soprattutto dalle novità dottrinali che sono state introdotte in questi anni. La dissidenza, nella Chiesa, c’è sempre stata: per limitarci ai tempi piú recenti, si pensi alle contestazioni aperte, anche da parte di interi episcopati, nei confronti di Paolo VI, specialmente dopo la pubblicazione dell’Humanae vitae; si pensi all’opposizione, piú dissimulata (a causa della popolarità di quel Pontefice), verso Giovanni Paolo II; per non parlare della contestazione sfacciata e preconcetta di ogni atto compiuto da Benedetto XVI, contestazione che ha fatto pensare a una vera e propria congiura orchestrata nei suoi confronti. Attualmente la dissidenza appare piú spontanea, si esprime soprattutto attraverso la rete e proviene principalmente dai laici. È chiaro che il clero — in particolare i Vescovi, per evidenti motivi — non si sbilancia piú di tanto. Le contestazioni piú eclatanti che si sono avute in questi anni ci sembrano essere la Critica teologica all’esortazione apostolica Amoris laetitia, inviata nel luglio 2016 da 45 teologi ai Cardinali (14), e la Correctio filialis de haeresibus propagatis, rivolta direttamente al Pontefice nell’agosto 2017 (15). 

Papa Francesco è perfettamente consapevole di questa resistenza al suo magistero. Nell’incontro avuto con i suoi confratelli gesuiti a Santiago del Cile il 16 gennaio 2018 ha affermato in proposito: «Quando mi rendo conto che c’è vera resistenza, certo, mi dispiace … Mi dispiace ancora di piú quando qualcuno si arruola in una campagna di resistenza … Non posso negare che ce ne siano [di resistenze]. Le vedo e le conosco. Ci sono le resistenze dottrinali, che voi conoscete meglio di me. Per salute mentale io non leggo i siti internet di questa cosiddetta “resistenza”. So chi sono, conosco i gruppi, ma non li leggo, semplicemente per mia salute mentale. Se c’è qualcosa di molto serio, me ne informano perché io lo sappia … È un dispiacere, ma bisogna andare avanti … Quando percepisco resistenze, cerco di dialogare, quando il dialogo è possibile; ma alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro. Provo dispiacere, ma non mi soffermo su questo sentimento per igiene mentale» (16).

Le divisioni

La situazione che si è venuta a creare ha provocato profonde divisioni nella Chiesa, tra chi sostiene a spada tratta le attuali novità e chi preferirebbe un approccio piú moderato, senza strappi con la tradizione. Le divisioni piú preoccupanti sono quelle all’interno dell’episcopato, manifestatesi in seguito alla pubblicazione di Amoris laetitia: alcune conferenze episcopali, nazionali o regionali, hanno dato un’interpretazione larga dell’esortazione apostolica; altre, un’interpretazione piú restrittiva. Ovviamente, tali divisioni creano confusione tra il clero e i fedeli. Qualcuno arriva a parlare di scisma. Papa Bergoglio appare pienamente cosciente del rischio di una frattura nella Chiesa. Il corrispondente dello Spiegel riportava, nel 2016, la confidenza fatta dal Pontefice ad alcuni suoi collaboratori: «Non è escluso che io passerò alla storia come colui che ha diviso la Chiesa cattolica» (17). 


II. PROSPETTIVE PER IL FUTURO

L’irreversibilità delle riforme

Ne aveva parlato Mons. Víctor Manuel Fernández in un’intervista al Corriere della sera nel 2015 (18): «Il Papa … sa che ci sono alcuni che sperano che col prossimo Papa tutto torni indietro … Bisogna sapere che lui punta a riforme irreversibili … Indietro non si torna … La maggior parte del Popolo di Dio … non accetterà facilmente che si torni indietro in certe cose». Che questa fosse la reale intenzione del Papa era stato successivamente confermato da Enzo Bianchi in una conferenza tenuta a Cagliari nel maggio 2017 (19): «Un giorno [al Papa] è stato chiesto in una situazione confidenziale: “Ma, Santità, porterà a termine tutte queste riforme che annuncia?”. La sua risposta è stata: “Io non pretendo; voglio che si inizino processi, e voglio che quel tanto di cammino che facciamo insieme non si possa piú tornare indietro”». Piú recentemente, Edward Pentin ha rivelato che membri dell’episcopato tedesco avrebbero esercitato pressioni sul Papa per un’accelerazione delle riforme. E ha aggiunto: «Si dice che siano preoccupati che le riforme non verranno revocate da un Papa futuro, e perciò vorrebbero che esse siano, per quanto possibile, scolpite nella pietra (set in stone), magari per mezzo di una Costituzione apostolica» (20). È sorprendente che, da parte di chi ha sempre teorizzato la fluidità della realtà e guardato con sospetto alla dottrina, perché dura come la pietra, venga ora la richiesta di “scolpire nella pietra” le riforme. Si tratta in realtà di un atteggiamento tipico di qualsiasi rivoluzione: una volta sovvertite le vecchie strutture, non si ammettono poi ulteriori trasformazioni (21).

Domande

A questo punto si possono porre alcune domande riguardo al futuro: riuscirà questo tentativo di rendere le attuali riforme irreversibili? I successori di Papa Francesco continueranno sulla strada da lui intrapresa o preferiranno tornare ai “sentieri del passato” (Ger 6:16)? Se optassero per quest’ultima soluzione, riuscirebbero ad attuarla senza problemi? Le presenti riforme non potrebbero costituire un ostacolo alla realizzazione del loro intento? Non è facile dare una risposta a queste domande, non solo perché nessuno di noi è profeta, ma anche perché è difficile prevedere come evolveranno le cose.

Innanzi tutto, bisognerà vedere quanto durerà l’attuale pontificato. So bene che non è di buon gusto toccare questo tasto, mentre un Papa è ancora in vita; ma, siccome lo stesso Bergoglio ne ha parlato in piú d’una occasione, ci sentiamo autorizzati ad accennarvi. Lui ha espresso la sensazione che il suo pontificato sarebbe stato breve (tre-quattro anni). Ora di anni ne sono passati cinque e nulla lascia presagire una imminente fine del pontificato. Ci si chiede: riuscirà a condurre in porto tutte le riforme in cantiere? Difficile dirlo. È un fatto che già quelle realizzate costituiscono cambiamenti non secondari.

Chi sarà il successore di Papa Francesco? Non mi riferisco alla persona, ma al suo orientamento: sarà un “bergogliano”, che porterà avanti il suo programma, oppure un suo oppositore, che cercherà di abrogare le sue riforme? Anche in questo caso si tratta di una domanda a cui non è facile rispondere. È vero che ogni Pontefice, con le nuove nomine cardinalizie, cerca di plasmare il corpo elettorale che sceglierà il proprio successore; ma il risultato non è sempre assicurato (come è avvenuto nell’ultimo conclave).

Nell’ipotesi che al prossimo conclave dovesse venir eletto un esponente dell’opposizione, avrebbe la possibilità di abrogare le attuali riforme? In teoria sí: nessuno potrebbe limitare la sua autorità; ma di fatto avrebbe le mani legate e, in ogni caso, pagherebbe salato qualsiasi tentativo di “controriforma”, se non altro in termini di popolarità. Facciamo un esempio: se dovesse andare in porto il decentramento, auspicato in Evangelii gaudium (n. 16), a favore delle conferenze episcopali, sarebbe poi estremamente difficile procedere a una ri-centralizzazione, mossa che inevitabilmente finirebbe per alienare le simpatie degli episcopati. In ogni caso, costituisce, a nostro parere, un grave vulnus per la Chiesa l’adozione di logiche mondane, quali lo spoils system o l’alternanza di pontificati progressisti e conservatori. La Chiesa vive di continuità, non di opposizioni ideologiche; nella Chiesa “riformare” non significa introdurre novità effimere e reversibili, ma riportare al primitivo splendore. 

C’è infine da considerare l’evoluzione del mondo in cui la Chiesa è inserita. Non è in crisi solo la Chiesa, ma lo è anche, e forse in misura maggiore, il mondo che la circonda. L’epoca che stiamo vivendo ha tanto l’aria di “fine impero”: un crollo dell’attuale civiltà non può essere escluso. È chiaro che, in tale prospettiva, una Chiesa completamente appiattita sul mondo, quale quella che si sta forgiando in questi anni, sarebbe destinata a soccombere con esso. Per questo è importante che si formi un “resto”, che rimanga fedele alla tradizione della Chiesa e conservi intatta la dottrina cattolica, e che sia pronto a intervenire al momento dell’eventuale crollo per svolgere il ruolo svolto dalla Chiesa alla caduta dell’impero romano: traghettare l’umanità dal vecchio al nuovo ordine. La Chiesa è stata il seme della civiltà medievale; ma lo ha potuto fare grazie al patrimonio accumulato nei primi secoli della sua esistenza. Ci sembra emblematica, a questo proposito, la figura di Sant’Agostino: assisté al disfacimento del mondo romano di cui lui stesso era parte; morí con i Vandali alle porte della città. Che cosa avrà provato nel vedere quel mondo — il suo mondo — che si stava sgretolando? Eppure il suo pensiero e le sue opere hanno costituito la base per la rinascita. Penso che la stessa cosa potrà accadere per noi: il patrimonio dottrinale che la Chiesa ha accumulato nel corso dei secoli (anche negli anni piú recenti: si pensi alla dottrina sociale della Chiesa, agli insegnamenti del Vaticano II e al magistero degli ultimi Papi) non deve andare perduto: esso costituirà la base per la ricostruzione. Quel patrimonio costituisce il “seme” che ora, ad alluvione in corso, siamo chiamati a salvare, perché poi, una volta che il fiume sarà rientrato nel suo alveo, possa essere seminato e fruttificare.

Giovanni Scalese, CRSP

NOTE

1. Comunicato della Segreteria di Stato del 13 aprile 2013.

2. Si veda in proposito la recente nota di Sandro Magister “Storie di curia. La rivincita del cardinale segretario di Stato”: Settimo Cielo, 14 gennaio 2018 (qui).

3. La Civiltà Cattolica, 164 (2013), III (n. 3918, 19 settembre 2013), p. 462 (qui).

4. Il resoconto dell’incontro, che aveva carattere privato, fu divulgato dal sito Refexión y liberación (qui), provocando l’immediata reazione della Presidenza della CLAR (qui). Una traduzione italiana del resoconto dell’udienza è stata pubblicata dal sito Una Vox (qui).

5. Si veda, in proposito, il terzo “sogno” del Card. Carlo Maria Martini nel suo intervento al Sinodo dei Vescovi per l’Europa, 7 ottobre 1999 (qui).

6. Si veda soprattutto il primo capitolo: “La trasformazione missionaria della Chiesa” (nn. 19-49).

7. Lo ha fatto nella relazione al Concistoro straordinario sulla famiglia del 14 febbraio 2014 (qui) e successivamente in un articolo sull’esortazione apostolica Amoris laetitia: Stimmen der Zeit, n. 11/2016, pp. 723-732 (qui). L’espressione è stata recentemente ripresa dal Card. Pietro Parolin in una intervista rilasciata a Vatican News l’11 gennaio 2018 (qui) e dal Card. Blase Cupich in una conferenza tenuta il 9 febbraio 2018 al Von Hügel Institute del Saint Edmund College di Cambridge (qui).

8. “La rivoluzione pastorale”: Antiquo robore, 28 marzo 2016 (qui); “Il ‘cambio di paradigma’”: loc. cit., 29 novembre 2016 (qui).

9. Ibid. La portata rivoluzionaria del “cambio di paradigma” viene ora confermata dal Card. Cupich: «L’obiettivo principale della dottrina sul matrimonio è l’accompagnamento, non il perseguimento di un insieme astratto e isolato di verità. Questo rappresenta un importante cambiamento nel nostro approccio pastorale, un cambiamento a dir poco rivoluzionario». 

10. «Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età» (Commonitorium primum, c. 23).

11. La Civiltà Cattolica, cit., pp. 475-476.

12. 11 ottobre 2017 (qui).

13. “Fase B?”: Antiquo robore, 31 ottobre 2017 (qui).

14. Qui. Non è da escludere che proprio da questa Critica siano scaturiti i cinque dubia che i Cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner hanno rivolto al Papa il 19 settembre 2016 (qui).

15. Qui.

16. La Civiltà Cattolica, 109 (2018), I (n. 4024, 17 febbraio 2018), pp. 315-316 (qui).

17. Der Spiegel, 23 dicembre 2016 (qui).

18. Corriere della sera, 10 maggio 2015 (qui). Si veda il nostro commento: Antiquo robore, 22 settembre 2017 (qui).

19. Conferenza sull’esortazione apostolica Amoris laetitia, Cagliari, 23 maggio 2017 (audio-clip qui, minuto 15:57). Si veda, anche qui, il nostro commento: Antiquo robore, 29 maggio 2017 (qui).

20. National Catholic Register, 19 settembre 2017 (qui).

21. Potrebbe essere ricondotto a tale preoccupazione di stabilizzare le riforme il recente motu proprio Imparare a congedarsi del 12 febbraio 2018 (qui), che segna, a nostro avviso, un preoccupante regresso verso uno stile di governo caratterizzato non piú dalla certezza del diritto, ma dalla discrezionalità.